GUGLIELMO ASCHIERI EMILIO

Avevo dodici anni quando Guglielmo venne a trovarci per la prima volta. All’epoca mio padre muoveva i primi passi verso l’arte contemporanea, ancora non sapeva che sareb- be diventato un ra nato collezionista, avrebbe conosciuto personaggi di rara sensibilità e avuto il merito di avvicinare alla loro arte numerosi appassionati. Sino a quel momento, aveva acquistato litogra e e acqueforti di a ermati artisti nazionali e internazionali, come Bueno, Morlotti, Squillanti- ni, ma anche Marini, Miró e Picasso. Tuttavia per uno come lui, vittima consapevole del Bello, mia madre era bellissima, le stampe, per quanto di qualità, non erano su ciente- mente appaganti, erano pur sempre copie. D’altra parte, il colore riprodotto sulla carta meccanicamente, non vibrerà mai come il pigmento steso manualmente sulla tela. Non potendo permettersi a livello economico i pezzi unici degli artisti a lui noti, decise di investire nei giovani, e Guglielmo Aschieri, allora giovane promessa, fu credo il primo a conquistare la sua ducia, la pittura così prorompente e nuova rispetto ai canoni a cui era abituatomio padre, diede le giuste conferme a quella scelta di cambiamento che stava trasformando il suo modo di vedere l’arte. Quel giorno l’ospite a me sconosciuto indossava un giaccone di pelle nera, corredata in vita da una spessa cintura penzo- lante. I capelli erano lunghi e disordinati, l’atteggiamento sempre composto ed estremamente educato, era diverso dalle altre persone che venivano a trovare i miei genitori, era il primo Artista che varcava la soglia dell’appartamento di viale Po, al numero 58, lettera D come Domodossola, diceva sempre il papà quando dava l’indirizzo a qualcuno. Da allora la vita dei Mangano avrebbe preso una nuova piega, la passione per l’arte contemporanea avrebbe travolto non solo mio padre, che ora possiede un’invidiabi- le collezione, ma l’intera famiglia: mia madre in primis: “Eugenio non azzardarti a dar via la mia Dalia!”, diceva preoccupata e con tono minaccioso, quando qualche collezionista metteva gli occhi su una delle opere più belle mai “estorte” a Guglielmo. Si, uso ironicamente questo termine perché a volte, per convincere gli artisti a cedere alcuni pezzi, e soprattutto ad attenersi ai prezzi che stabili- va mio padre, bisognava ricorrere a vere e proprie tattiche di persuasione. Il papà è una persona estremamente socie- vole e predisposta verso il prossimo, gli viene facile conqui- stare la ducia di artisti e collezionisti, quando gli piace qualcosa si vede nitidamente e il suo entusiasmo è tale da divenire contagioso. Tuttavia non è altrettanto facile ottenere i capolavori, poiché spesso gli artisti devono rendere conto ai galleristi con i quali collaborano. Arma assai e cace era l’irresistibile cucina della mamma, compli- ce preziosa, da tutti apprezzata per la sua delicata sensibili- tà. Le cene della Ste erano in grado di rendere vulnerabili le resistenze di chiunque, e coloro che avevano la fortuna di sedersi al nostro tavolo, puntualmente accoglievano le trattative chirurgiche di mio padre. Però questo non è il caso speci co di Guglielmo che da sempre è un convinto vegetariano, di cile da invitare a cena, ma golosissimo di cioccolata, il regalo che, nelle varianti di cacao più ricercate, GUGLIELMO ASCHIERI EMILIO 1955, Sesto Cremonese normalmente avrebbe ricevuto a Natale. Ma se parliamo di dolcezza, parliamo della mia mamma, il suo cuore grande e sincero creava subito empatia, ma solo con le belle perso- ne. Inizialmente Guglielmo non voleva in nessun modo cedere la Dalia a mio padre, in quanto l’aveva dedicata alla sua di mamma, ma se riusciva spesso a dire di no a lui, in quel caso, non è riuscito a fare altrettanto con lei. La Dalia (p. 7) era l’opera preferita di mia madre ed è tuttora la mia, il dipinto più attraente che per anni ho ammirato nella nuova casa di via Gradisca, appeso alla parete della camera dei miei, accanto al letto, dal lato della Ste . Non è solo un ore, è la natura che pulsa, bellezza sublime che permane negli occhi di chi la osserva. Freschezza d’arte senza tempo che non va spiegata, né contestualizzata, ma contemplata. Pelle d’oca, respiro profondo e appagamento. Non serve conoscenza, né erudizione, ma solo cuore animato, per comprendere l’a ato che Guglielmo ha speso in questa meraviglia. La passione per l’arte anno dopo anno ha contagiato anche mio fratello Pierpaolo, il primogenito della famiglia, esteta testardo e coraggioso che grazie all’esperienza maturata a contatto col papà, e al proprio spirito imprenditoriale, ha fondato la Galleria Mangano Arte, eme che ora ho l’onore e la gioia di curare questa mostra, in occasione dell’apertura della nuova sede, grazie Pier. Questa inaugurazione intende celebrare la trentennale relazione che lega questo straordinario artista, di origini cremonesi, alla famiglia Mangano. Nello speci co, questa mostra espone ai cittadini il frutto del sodalizio, fatto di stima e rispetto reciproco, tra Guglielmo Aschieri Emilio e il collezionista Eugenio Mangano, inquadrando una nestra temporale tra il 1990 e il 2011. Le opere selezionate riguar- dano esclusivamente la produzione che ha come soggetto la natura morta, dipinta rigorosamente ad olio, con l’antica tecnica della velatura cinquecentesca. Il supporto scelto è invece innovativo: lamiera zincata di produzione industria- le. A mio avviso l’intuizione più emblematica della poetica di Aschieri. Per comprendere a fondo le motivazioni che hanno porta- to l’artista all’esecuzione di queste opere è necessario calarci nel contesto che egli ha vissuto nella decade ad esse precedente. Siamo alle porte degli anni ottanta, un giova- ne Achille Bonito Oliva sta conquistando lo scenario della critica mondiale con una geniale illuminazione teorica, la Transavanguardia. Egli si accorge di una sostanziale trasfor- mazione nella mentalità degli artisti, in concomitanza con gli avvenimenti storici, politici e sociali dell’epoca. È in corso un’indimenticabile crisi energetica, a seguito della guerra Israelo-araba del 1973. L’improvviso aumento del prezzo del petrolio, ha portato notevoli ripercussioni economiche e sociali in tutto il mondo, che dureranno no alla ne degli anni Settanta e segneranno, indelebilmente, il sistema culturale occidentale. L’”ottimismo produttivo” che caratte- rizzava la nostra civiltà ha subito un crollo a tutti i livelli: ideologico, scienti co e sociale. Analogamente “l’ottimi- smo sperimentale” delle avanguardie artistiche svanisce 1

RkJQdWJsaXNoZXIy MjU1NDQ=